AUTOart Lamborghini Countach LP400

RETROSPETTIVA: AUTOART LAMBORGHINI COUNTACH LP400 1970 1:18

UN PO’ DI STORIA

Un aneddoto racconta che al Salone di Torino del 1969, il direttore commerciale Ferrari si avvicina ad un’auto sportiva dal nome spagnoleggiante con accanto ad un emozionato Paolo Stanzani, dicendogli: “Congratulazioni ingegnere, questa macchina è veramente bella. Manca solo una cosa: il Cavallino sul cofano”. L’auto in questione era una Lamborghini Jarama, il primo progetto dell’ingegnere Stanzani che lo porterà alla creazione della Lamborghini Countach LP400 del 1970. La Countach è stata un’auto incredibile e di una forte stravaganza stilistica: le linee tese e futuristiche furono presentate al mondo da Bertone attraverso la matita di Marcello Gandini (che disegnò auto prestigiose come la Fiat X/19, la Lamborghini Miura, la Lancia Stratos). La produzione della vettura terminò nel 1990, dopo quasi 20 anni di onorata carriera, lasciando il posto alla Diablo. La Countach presentò al mondo il concetto di “linea a cuneo“, ossia un’unica linea che viaggia indisturbata dal muso alla coda.

Piccola curiosità: il nome della vettura non deriva, a differenza della maggior parte dei modelli Lamborghini, da una razza di tori di combattimento ma da una tipica espressione del dialetto piemontese che esprime stupore e meraviglia, traducibile in italiano con “accidenti!” o “perbacco!”. Si racconta che l’espressione sia stata pronunciata da un addetto alla sicurezza del reparto Carrozzeria Bertone. Era notte fonda e l’addetto accompagnava Paolo Stanzani a visionare il prototipo della vettura ormai definitivo. Lo stupore, quindi, diede il nome alla vettura.

Il primo prototipo della vettura aveva la sigla LP500, dove il 500 indicava la cilindrata del propulsore, ossia 5.000 cm cubici. LP invece stava per “Longitudinale Posteriore”, ossia la posizione del motore rispetto alla scocca. Il motore era un V12 da 4.971 cm cubici a doppio albero a camme in testa, ed erogava una potenza di 440 CV (328 KW) a 7400 giri al minuto. L’alimentazione era affidata a sei carburatori Weber 42 DCOE. L’impianto frenante presentava dischi autoventilati (innovativi per l’epoca) che dovevano domare una velocità massima di 300 km/h. Il corpo vettura era di un brillante Giallo Girasole.

I vari test imposero alcune modifiche al primo prototipo marciante. Il propulsore non si raffreddava abbastanza quindi furono introdotte le prese d’aria di tipo NACA sule fiancate e ingrandirono le altre prese presenti nel posteriore. La scocca del prototipo presentava dei pannelli di alluminio con una struttura a nido d’ape che poi venne scartata sui modelli di produzione. Il prototipo, purtroppo, andò distrutto poiché funse da cavia per l’importante prova di crash test finale di omologazione, svoltosi al M.I.R.A. di Londra. La Lamborghini ricreerà il prototipo solo nel 2021, in un progetto lungo e articolato che, grazie ai disegni originali, ci ha dato modo di “resuscitare” in tutti gli aspetti quella che era la prima incarnazione della Countach. Ai tempi seguirono altri due prototipi: (uno di colore rosso e il secondo di colore verde), di fatto esemplari preserie, con un abitacolo meno avveniristico ma più funzionale.

Immagine promozionale, Lamborghini Countach LP500 Concept – Crediti: lamborghini.com
Countach LP500 prototipo realizzata nel progetto di rispristino del 2021 – Crediti: radical-mag.com

La prima versione prodotta fu la LP400, protagonista di questa retrospettiva. Motore da 3.929 cm cubici (di derivazione Miura) e 8.000 giri al minuto. Con una velocità massima da 315 km/h e un’accelerazione 0-100 Km/h di 5,6 secondi, era di fatto la Countach più veloce in assoluto sino a quel momento. La vettura montava pneumatici da 215 con cerchi in lega di magnesio da 14 pollici all’anteriore e 15 pollici al posteriore. Questa versione è resa celebre dal particolare incavo presente sul tettuccio. Molti pensano, erroneamente, che sia una soluzione aerodinamica, invece nasce dalla necessità di inserire lo specchietto retrovisore a periscopio che era presente sul prototipo. Fu però poi abbandonato nella successiva fase di messa in produzione ma l’incavo sul tettuccio rimase, facendo guadagnare alla Countach LP400 il soprannome di “Periscopica“.

Alcune fonti indicano una produzione di 151 esemplari allestiti, di cui 21 con guida a destra. Cifre alquanto basse che rendono la LP400 un’auto rara e la più ricercata della serie Countach. I numeri di questa serie si dice siano tutti pari. Solamente lo chassis 1120001, esposta al museo Lamborghini, possiede un numero di telaio dispari. La produzione dei telai dal 1120002 al 1120300 (150 vetture) termina con la consegna dell’ultimo esemplare, il 2 gennaio del 1978 (di colore nero con interni bianchi), venduto in Belgio. Sarebbe interessante capire a quale numero di chassis AUTOart fa riferimento per la realizzazione della propria replica. Forse potrebbe essere lo chassis 1120234, con esterno in Giallo Fly e interni color senape ma si trovano pochissime foto in rete. Proverò a chiedere ad AUTOart.

Lamborghini Countach numero chassis 1120001, esposta oggi al museo Lamborghini – Crediti: web

LA REPLICA PROPOSTA DA AUTOART

  • Codice modello: AA74646
  • Serie: Signature
  • Data di uscita: 04/2013
  • Materiale: DieCast
  • Scala: 1:18
  • Aperture: Si (5)

La serie Signature vede arrivare nel 2013 un importante vettura del panorama automobilistico mondiale: un pezzo irrinunciabile per qualsiasi collezionista che si definisca tale. Per via dell’introduzione storica (doverosa) avete già capito da un bel pezzo che stiamo parlando della Lamborghini Countach, nello specifico la prima versione, la LP400 nella colorazione Giallo Fly (cod. AA74646). In contemporanea AUTOart pubblicò anche la versione Arancione (cod. AA74647). Arrivarono poi tutte le varianti ben note, giungendo sino alla 25th Anniversary Edition. Ma a mio parere la più bella di tutte resta lei, la prima incarnazione, semplice, armoniosa e senza fronzoli.

DETTAGLI ESTERNI E FEDELTÀ

Lamborghini Countach LP400 numero telaio: 1120026 – Crediti: Tim Scott/Fluid Images

L’iconico profilo a cuneo della Countach è stato riprodotto abbastanza fedelmente da AUTOart. Le proporzioni sono quasi perfette: d’altronde ogni dettaglio è 18 volte più piccolo e qualche compromesso è inevitabile. Poteva essere resa meno evidente la linea di separazione tra il corpo vettura e il fascione sottoporta. La presa NACA sulla fiancata, invece, sarebbe dovuta essere poco più in alto. Ma è corretto sottolineare queste minuzie? Non conoscendo l’esatto numero di telaio di riferimento tutto rimane un’ipotesi. Ciò che conta veramente è che la pittura risulta ben stesa (ma risulta più scura rispetto al Giallo Fly utilizzato da Lamborghini), lucida e coprente. Le shutlines, nonostante la scocca in diecast, risultano abbastanza strette. L’assetto sarebbe dovuto essere un pelino più basso sull’avantreno, come rivedremo meglio a breve.

Esaminando il frontale, le principali linee che compongono gli elementi ricalcano bene la controparte reale. Le geometrie dei gruppi ottici anteriori, le nervature accanto al piccolo cofano anteriore e i parafanghi spigolosi sono ricreati magistralmente. Da questa visuale è più evidente una maggiore altezza da terra e salta all’occhio un discostamento delle dimensioni per quanto riguardano le due piccole prese d’aria sotto il paraurti nero anteriore: sulla replica di AUTOart risultano un po’ ingrandite. Al posteriore tutto è al proprio posto a parte le due linee di assemblaggio verticali sotto i parafanghi: potevano essere evitate? Credo di sì.

Apro una piccola parentesi che mi sta a cuore. Da parecchio tempo, su più forum, mi è capitato di leggere lamentele circa la geometria della parte bassa del posteriore, dove alloggiano la griglia a protezione delle marmitte e i quattro scarichi. Guardate voi stessi: vedete una qualche differenza? Io non di certo. La geometria è ben riproposta e ricalca in tutto la Countach reale. Mi chiedo ancora oggi da dove sia nata questa diceria e di come abbia fatto ad espandersi per anni. Il posteriore della Countach LP400 di AUTOart è corretto!

Le luci di posizione e gli indicatori di direzione sono ricoperti da una calotta protettiva del tutto simile alla Countach reale. La resa è ottima, grazie alla presenza delle sottili rigature della lente di Fresnel e all’elemento tridimensionale interno posto sulla parabola color argento. In alto è ben visibile il faro a scomparsa (tipico di quegli anni), azionabile grazie ad una levetta posta sotto la scocca. Non mancano i fendinebbia rettangolari posti sul paraurti (completi di un minuscolo logo Carello) e le piccole gemme degli indicatori (di forma quadrata) sui parafanghi. Il resto del modello rispetta le aspettative: i cristalli sono sottili e non deformanti, la presa NACA sulla fiancata è dipinta di nero e completa di maniglia ma non è passante.

In alto sono facilmente osservabili le grandi prese d’aria di raffreddamento del motore. Più in basso è ben visibile la targhetta che cita “Disegno Bertone” stampata a tampone. Il posteriore presenta gruppi ottici ben realizzati (coi tipici fari di derivazione Alfa Romeo Alfetta): il bordo è un vero catarifrangente e i tre elementi interni restituiscono un ottimo feeling. I quattro scarichi, dall’aspetto realistico, sono contornati da una sottile griglia passante. Il cofano motore è del tutto fedele all’auto reale: ai lati è possibile apprezzare due griglie metalliche passanti, al centro invece si susseguono elementi geometrici decorativi dipinti di nero.

I cerchi in lega di magnesio della Countach erano prodotti dalla Campagnolo. AUTOart dimostra un’ottima realizzazione ma anche le solite mancanze: sono trascurate le valvole di gonfiaggio e le marcature sulle spalle degli pneumatici, pneumatici che però sembrano avere la giusta dimensione e un corretto pattern del battistrada. Al centro troviamo i cinque dadi appena abbozzati e il mozzo centrale cromato col toro da combattimento al centro. Dietro sono presenti i dischi autoventilanti da 267 mm, purtroppo poco visibili a causa del design del cerchio. Confermo la sensazione sull’assetto: corretto al posteriore ma più alto all’anteriore per via del maggiore spazio tra ruota e parafango.

ABITACOLO E FEDELTÀ

L’abitacolo ci sorprende ancor prima di accedervi grazie alle porte con apertura ad “elitra”: scattano subito in posizione azionando delicatamente la levetta grigia posta all’interno della presa NACA e rimangono sollevate senza alcun problema grazie al “pistoncino idraulico” simulato attraverso la presenza di un’asta metallica caricata a molla. L’apertura delle portiere ci dà accesso ad un abitacolo ben eseguito, di un color senape che simula il rivestimento in pelle. Le sedute (complete di cinture in stoffa) sono belle da vedere così come la moquette beige che riveste il pavimento.

La tonalità di beige degli interni pare differire un poco da quella utilizzata da Lamborghini ma si intona bene alla vettura. La parte superiore della plancia, di colore nero, spezza bene col resto ma non restituisce appieno il feeling della pelle. Il volante a tre razze è del tutto identico, completo di logo Lamborghini sul piantone. Dietro troviamo l’ampio quadro strumenti con ben otto indicatori circolari che danno informazioni di ogni tipo, come il contachilometri, contagiri, livello olio e acqua, tutti ben leggibili con l’utilizzo di una lente.

In basso a sinistra vi è una lunga fila di pulsanti e spie di ogni tipo: abbiamo il pulsante per il controllo pressione freni, luci di posizione, abbaglianti, alternatore, indicatori, emergenza, freno a mano e via dicendo. La pedaliera risulta un po’ povera ma non si discosta dalla realtà. Accanto troviamo la placca metallica a protezione del tunnel centrale. Al centro troviamo l’autoradio, un po’ povera nei dettagli e totalmente dipinta di nero. La plancia centrale è ben realizzata: la cornice nera contiene le due bocchette cilindriche d’aerazione, mentre più in basso abbiamo i comandi del clima, l’accendisigari e le tre levette basculanti per azionare le luci. La leva del cambio è abbastanza fedele, con le piste delle marce stampate sul pomello. Poco dietro troviamo il posacenere. Lato passeggero è visibile il cassetto portaoggetti (col nottolino della serratura appena abbozzato). In alto le bocchette circolare per lo spannaggio del parabrezza. I pannelli porta sono completi di rivetti e di manovella alza vetro (per osservare al meglio i dettagli invito a visionare la photogallery qui).

Gli interni risultano quindi ben realizzati, senza nessuna (o quasi) reinterpretazione o approssimazione di alcun dettaglio a parte i compromessi inevitabili dovuti alla scala ridotta. Il colore “senape” scelto per gli interni si sposa bene col nero della parte superiore della plancia e il Giallo Fly dell’esterno.

Il piccolo cofano anteriore cela l’alloggio per la ruota di scorta, del tutto simile a quelle montate sul modello. Sono ben visibili le due trombe del clacson ma la pozione della batteria e del serbatoio dell’olio dei freni sembra invertita. È visibile anche parte del telaio tubolare. Ad ogni modo, vista la ridotta dimensione del vano, i dettagli non mancano e il piccolo cofano sta in posizione grazie all’asta telescopica metallica molto simile alla controparte reale.

Il piccolo bagagliaio posteriore è interamente rivestito in moquette color senape, come visto per l’abitacolo. C’è ben poco da vedere e nulla che possa essere tralasciato a parte il tratto di guarnizione che corre da faro a faro.

MECCANICA E DETTAGLI

Il cofano posteriore è semplice da sollevare e viene tenuto in posizione da un’astina in metallo. Il motore rivela dettagli molto fedeli. A far da padrone sono i sei carburatori Weber 42 DCOE, con un buon livello di dettaglio. Al centro spicca l’alberino di comando dei carburatori, collegato all’acceleratore: essendo in metallo aiuta a migliorare il realismo della meccanica. Al di sopra delle testate si snodano parecchi cavi rossi relativi alle bobine e al grosso alternatore posizionato in basso: sono raccolti insieme da alcune fascette nere, proprio come sulla vera Countach. A lato abbiamo il supporto motore (rettangolare con quattro bulloni) e in basso a destra è visibile il filtro dell’olio (in grigio). Ai lati circondano il motore gli ampi collettori che corrono dalle prese d’aria laterali sino all’ingresso dei carburatori. Potevano essere dettagliate maggiormente, magari inserendo le fascette metalliche come visto su altre realizzazioni.

Tante piccole componenti, cavetti e tubazioni mancano all’appello, ma nel complesso il motore restituisce un ottimo livello di realismo e un’attenzione a quella che è la fedeltà alla vettura come voi stessi potete confermare dal confronto fotografico.

Parte del telaio tubolare circolare (da 40 mm) sulla quale si appoggia la scocca è visibile sul pianale del modello ed è ricreato abbastanza fedelmente. Ovviamente non è realizzato nella sua interezza, ma dobbiamo accontentarci di un bassorilievo. Un confronto col telaio reale dimostra un buon lavoro da parte di AUTOart, seppur fortemente limitato.

Il sistema di sospensioni anteriori a ruote indipendenti con bracci ad A (con molle elicoidali e barra antirollio) è realizzato egregiamente ma purtroppo non vi è alcun cinematismo. In foto è possibile notare la levetta che controlla il sollevamento dei fari a scomparsa. Al centro del pianale è visibile parte della scatola del cambio a 5 marce e al posteriore il basamento del motore con i semiassi omocinetici, attraversati dai cavi che portano l’olio ai freni posteriori. Anche al posteriore abbiamo un sistema con bracci ad A invertiti a doppie molle elicoidali e barra antirollio. Il grigio utilizzato risulta, al solito, un po’ povero ma almeno la parte terminale degli scarichi ha un aspetto metallico convincente e di pregio.

CONCLUSIONI

La Lamborghini Countach LP400 realizzata da AUTOart è, a pieni voti, un ottimo modello di fascia medio-alta. La cura nei dettagli non riguarda solo l’esterno ma la si apprezza specialmente nell’abitacolo e nel propulsore. Vi sono alcune piccole sbavature, come l’assetto un poco superiore all’avantreno, le due brutte linee di assemblaggio sui parafanghi posteriori, la mancanza delle valvole di gonfiaggio e delle marcature lato ruote e un mancato cinematismo delle sospensioni che sarebbe stato apprezzato.

Ma queste mancanze vengono in grossa parte assopite dalla presenza di un’ottima pittura esterna, di griglie passanti metalliche, di cerniere ben ingegnerizzate, di un abitacolo fedele e pieno di dettagli e di un propulsore che vede anche l’utilizzo del metallo per quanto riguarda l’alberino di comando dei carburatori e dell’acceleratore. Un dettaglio non scontato, minuzioso, che riesce ad elevare la qualità della replica. Anche la cura e l’attenzione riservata alla cavetteria si apprezza particolarmente. Tutti questi aspetti rendono il modello meritevole e degno di far parte della nostra collezione.

La Countach è stata prodotta in tutte le varianti possibili. Meritano di essere menzionate le versioni Walter Wolf Edition e la 25th Anniversary Edition. AUTOart ha prodotto ogni variante in gran numero, tant’è che la disponibilità di ogni versione si è protratta per diverso tempo, dando modo a chiunque di accaparrarsi almeno un pezzo. Scontato dire che, ad oggi, la maggior parte delle versioni risulta sold-out e si trovano a prezzi molto più alti rispetto che in passato. Un’alternativa sarebbe la versione proposta da Kyosho, ugualmente valida seppur con le dovute differenze. E voi ne avete almeno una in vetrina? Alla prossima!

Per un confronto con la vettura reale, di seguito una galleria dedicata a questa storica vettura della casa di Sant’Agata Bolognese e una seconda galleria dedicata alla Countach LP500 ricreata nel 2021 dagli studi Lamborghini.

Qui invece trovate una ricca photogallery della replica di questa recensione.

Crediti galleria: lamborghini.com, tomhartelyjnr.com, favcars.com, Tim Scott/Fluid Images, radical-mag.com, web. Qualora riconosceste vostra un’immagine utilizzata nell’articolo o conoscete l’autore contattatecelo in modo tale da aggiungere i crediti o eliminare il contenuto.

Darius Kri
Darius Kri
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