REVIEW ALFA ROMEO GIULIETTA SPRINT – Kyosho 1/18

Eccovi una nuova recensione che ho il piacere di condividere su DieCast Passion. Scritta da thesmallbigwheels.blogspot.com, esamina in maniera approfondita una delle ultime incarnazioni della Giulietta Sprint. Buona lettura.

La Giulietta è uno dei modelli più importanti nella storia dell’Alfa Romeo: con lei la Casa del Biscione entrò a tutti gli effetti nella modernità industriale, passando dalla produzione semi-artigianale con circa 20 automobili al giorno (questo fino alla “1900”) a quella industriale, capace di 200 vetture giornaliere. Nonostante la grande competenza tecnica e progettuale dell’Alfa l’operazione non fu affatto semplice: venne quindi coinvolto Rudolf Hruska, ingegnere austriaco che aveva validamente contribuito alla commercializzazione della Volkswagen Maggiolino. Le cose migliorarono molto, ma la Giulietta berlina continuava a lamentare problemi di messa a punto, in particolare riguardo l’insonorizzazione dell’abitacolo, che rischiavano di ritardare la presentazione della nuova alfa Romeo, prevista per il salone di Torino del 1954. Venne quindi deciso di presentare, in maniera del tutto insolita, per prima la Giulietta Sprint coupé, sviluppata in contemporanea con la berlina, in modo da guadagnare tempo per gli ultimi affinamenti. La Sprint ebbe un successo immediato e fu anche un ottimo “colpo” pubblicitario, visto che aumentò a dismisura l’attesa per la berlina, presentata sempre a Torino nel 1955.

La vettura si presentava molto compatta e filante, la linea, disegnata da Franco Scaglione con la collaborazione di Mario Boano e di un giovanissimo Giorgetto Giugiaro, riprendeva alcuni stilemi visti sul prototipo 2000 Sportiva, conservando però un frontale che riprendeva il “family feeling” con la 1900. Fu costruita fino al 1962, in due serie, con vari allestimenti e cilindrate; partecipò con successo alle competizioni e da lei derivarono versioni granturismo (la Giulietta Sprint Speciale), spiccatamente corsaiole (le Giulietta Sprint Zagato) e spider (disegno Pininfarina). Divenne Giulia Sprint nel 1962, montando il motore 1600, e ridivenne semplicemente Sprint 1300 dal 1964 al 1966, quando sparì definitivamente dal listino Alfa Romeo.

Bene, sembrerà incredibile ma di questa vettura, fino ad ora, esisteva un solo modello die-cast in scala 1/18, prodotto anni fa da Mini Miniera, di qualità media, che riproduceva la seconda serie. Incredibilmente ignorata da tutti i produttori premium, troppo impegnati a correre dietro all’ultima variante di colore delle sempre solite supercar. Fatto sta che, quando tempo fa Kyosho ha annunciato l’uscita della Giulietta Sprint prima serie in tre varianti (una “base” in due colori e la “Veloce” in rosso), mostrando anche le foto dei prototipi, non pareva vero. L’attesa è stata lunga, ma ora finalmente, ad un prezzo intorno ai 200 euro, la Giulietta Sprint è disponibile. Vediamo quindi se la spesa (e l’attesa) sono stati premiati.

Linea e aspetto generale 

Il modello si presenta molto bene: abbiamo scelto a bella posta la versione azzurra, simile alla vettura conservata al Museo Alfa: versione base con cambio al volante e interni bicolore blu/grigi. La linea è azzeccata, le proporzioni ottime, le ruote sono belle e del giusto diametro.

Il confronto con l’auto vera conferma la validità del modello in scala (foto © RM-Sotheby’s)

La tinta del modello è un po’ troppo tendente al turchese, ma è comunque accettabile; posso dire che le shutlines della carrozzeria sono molto più evidenti in fotografia che dal vivo, le cromature sono brillanti senza essere “plasticose”, i fregi dorati in fotoincisione adesiva sono impeccabili.

La vista frontale mette in evidenza la bella fanaleria e la finezza di esecuzione del tradizionale scudetto Alfa Romeo. Forse solo le gemme delle luci di posizione sono poco evidenti, perché non sono argentate nella parte posteriore. Ottimo l’assetto delle ruote, che non tendono a divaricarsi sotto il peso del modello; un po’ troppo spessi i tergicristalli, ma in fotografia sembrano peggio di quello che sono in realtà. Bella e fine la cornice del parabrezza.

Bene anche la vista di coda; si intravedono gli organi delle sospensioni, ed è molto ben riprodotta la caratteristica struttura per l’illuminazione della targa, ai tempi soprannominata “aeroplanino”: non manca il contorno di gomma nera. Ottima la cornice del lunotto, un appunto invece per lo spazio intorno al baule, un po’ eccessivo nella parte superiore. Ben riprodotte le luci posteriori, ma avremmo preferito dei listellini cromati a separare i tre settori, anziché un semplice tocco di colore argento. In ogni caso, la nostra Kyosho supera brillantemente il primo esame.

Aperture e dettaglio
Cosa ormai abbastanza rara nel mondo dell’automodello pressofuso, la Giulietta Sprint di Kyosho è completamente apribile ed ha pure le sospensioni funzionanti. E bisogna ammettere che il modello aperto fa un gran bell’effetto!

Le portiere si aprono con un angolo notevole su cardini realistici ed hanno i vetri correttamente privi di cornice, il cofano anteriore è completo di sostegno a pantografo, lo sportello del bagagliaio resta aperto senza problemi, anche se più avanti capiremo meglio perché. Molto bene! Ovviamente nella scatola è fornito un pratico attrezzino per agevolare l’apertura delle parti.

Motore
Passiamo quindi ad esaminare il “cuore” del nostro modello e per farlo avvaliamoci ancora del confronto con l’auto vera che potete vedere qui di seguito:

Ed ecco il modello; mi pare che il risultato sia ottimo….

Certo, manca qualche piccolo cablaggio, alcuni particolari sono un po’ plasticosi, ma non sono state dimenticate le targhette e l’aspetto generale è piuttosto fedele. Non manca, nella parte interna del cofano, la luce di cortesia per illuminare il vano (un po’ surdimensionata, a dire il vero, ma c’è!). 

Interni
Passiamo agli interni, che sul modello appaiono piuttosto fedeli e confrontiamoli ancora una volta con quelli dell’auto vera, stessa serie e (più o meno) stesso colore:

Ed ora il modellino: un buon lavoro, diremmo, a parte qualche lieve discrepanza, come ad esempio il pulsante del clacson, bianco anziché nero…. e ci sarebbe piaciuto vedere i quattro pomelli intorno al posacenere realizzati con pezzi riportati e non semplicemente stampati e dipinti.

La forma dei sedili è corretta, così come l’alternanza dei colori. La moquette scura è corretta, perché presente su altre vetture (optional?). Piccola dimenticanza: mancano i pomelli delle manovelle alzacristallo (facilmente risolvibile da un bravo bricoleur) e, errore, la parte superiore della plancia dovrebbe essere nera opaco e non lucida. Tutto bene, quindi? Purtroppo no. A mio avviso, tutto viene guastato dalla tremenda “economia” visibile sul cruscotto: un modello di questa gamma (e prezzo) NON può avere una decal piatta a riprodurre la strumentazione. Una soluzione veramente poco estetica, che ci riporta ai modelli giocattolosi degli anni ’90. Qui Kyosho avrebbe potuto (e dovuto) fare decisamente di meglio!

In ogni caso, apprezziamo molto le alette parasole riportate, il rivestimento del padiglione ben riprodotto e il delicato cinghietto di appiglio per il passeggero.

Bagagliaio
Ed infine arriviamo alle “dolenti note”: il bagagliaio del modello è in assoluto la parte meno riuscita. Ancora una volta, affidiamoci alle foto dell’auto vera:

Notiamo i cardini, la posizione della batteria, la ruota di scorta, il tappo del serbatoio… ed ora, il modello.
Tenetevi forte…

Vedendo un simile disastro, viene spontaneo chiedersi che senso abbiano delle cerniere di queste dimensioni, per un baule così piccolo (e tutto sommato leggero). Inoltre, notare il pezzo che di fatto fissa le cerniere alla carrozzeria, talmente grande e spesso da occupare metà del vano. Se questo non bastasse, la batteria è in posizione sbagliata, e malamente abbozzata, il tappo del serbatoio è a malapena definito, le plastiche non sono neppure verniciate. Per la serie “non aprite quel baule”. Kyosho, qui proprio non ci siamo.

Meccanica

il fondo del modello ci mostra una buona riproduzione degli organi meccanici, a dire il vero un po’ “asettica” ma nella media delle riproduzioni di gamma medio/alta: tutto è bene o male al suo posto, i colori sono tutto sommato corretti e funzionano anche le sospensioni. Qualche cavo o cablaggio qua e là non avrebbe guastato, ma nel complesso tutto ok.

Conclusioni…

Allora, vale la pena spendere 200 e rotti euro per questo modello? Se siete avete una passione per l’Alfa Romeo, se amate le belle auto classiche ed i grandi carrozzieri italiani, la risposta è sicuramente sì. Se cercate la precisione assoluta, lasciate perdere: piccole magagne ce ne sono (e nel caso del bagagliaio neanche tanto piccole) e potreste restare delusi.
In ogni caso, questa Giulietta è una bella riproduzione e va a riempire un posto in vetrina che da troppo tempo era vuoto. Quindi, la consigliamo vivamente.

E alla fine, parliamoci chiaro: chi già possiede la sublime Giulietta Spider di Autoart, come può resistere a non affiancarle sul ripiano della vetrina anche la “sorellina” Sprint? Che coppia, ragazzi!

Darius Kri
Darius Kri
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